Direttori si nasce o si diventa?
(dall’introduzione a Esperienze Corali, 2012 – metodo – Ed. Carrara N. 5281)
È facile pensare al direttore come ad un ambizioso personaggio che magnetizza l’attenzione dei cantori e si compiace dell’applauso del pubblico. Invidiabile situazione, certamente, ma un direttore è prima insegnante, poi esecutore e inizia il lavoro nel suo studio, dove pianifica rigorosamente il percorso per arrivare alla prova con le idee chiare. Qualche direttore ammette di studiare il nuovo pezzo mentre lo insegna alle sezioni. Ciò è molto grave e porta inevitabilmente ad allungare la fase di lettura, che è la più pesante, noiosa, dove invece il maestro dovrebbe dimostrare tutta la sua abilità, incoraggiando il cantore e sapendo che quella “prima fotografia” rimarrà sempre impressa nella mente, specie al dilettante e al novello corista. Nessuno nasce direttore, come nessuno nasce chirurgo o ragioniere; confrontiamo l’allievo strumentista e l’allievo direttore. Mentre il giovane pianista già dalle prime esperienze può disporre di uno strumento intonato (anche di ottima fattura, se le tasche di papà lo permettono) ed è seguito da un insegnante, il direttore di coro è solo di fronte ad un gruppo di inesperti: li deve svezzare (non è il caso di professionisti in enti lirici o accademie) insegnando loro a leggere il brano, la tecnica vocale per risolvere le esigenze della partitura e poi – finalmente – può concertare; il direttore d’orchestra deve invece solo concertare. Se per lo strumentista solista la preparazione del suo recital si articola in due fasi:
1 studio →→→ 2 esecuzione pubblica per il direttore di coro diventano tre:
1 studio 2 prova 3 esecuzione pubblica
e la sua prima performance è proprio la prova (col singolo cantore, con la sezione o con l’intero gruppo); è qui che gioca le sue carte migliori, consapevole che l’errore sulla tastiera ha un effetto, mentre sbagliare o dover comunque studiare davanti a degli individui pensanti è assai più difficile: i cantori non hanno la pazienza dei tasti! Lo strumento del direttore è proprio quel coro che è sia strumento di studio che di concerto. Non si dirige il coro, ma l’energia che i cantori producono. Si dirige lo strumento dentro uno strumento più ampio: l’aria in cui il coro respira, vibra e vive. Il direttore non trasmetterà sicurezza fintantoché non troverà quell’appagamento fisico/sensoriale che – per primo – arriverà a chi canta e poi a chi ascolta. Si tratta di puro piacere, ben visibile in alcuni maestri. Il nuotatore inesperto, ben intenzionato a rispettare gli insegnamenti dell’istruttore, padroneggerà i movimenti solo quando il contatto con l’acqua non sarà più un problema, anzi: una piacevole sensazione. Appena si sentirà a suo agio coordinerà braccia, gambe, respiro. Il confronto è facile, ma mentre nel nuoto questo passaggio obbligato viene risolto all’inizio una volta per tutte, nella direzione si rinnova nell’affrontare il nuovo brano più impegnativo o un diverso organico, dove cambia la difficoltà, la fiducia e l’intesa con gli esecutori, il tempo a disposizione, lo stato di salute ed emotivo del momento, la finalità. Ecco quindi la già citata prima fase: lo studio individuale da potenziare costantemente per ottenere maggior abilità e una pedagogia sempre più attenta con termini nuovi, appropriati. L’esperienza del direttore accorcerà la fase di lettura, per iniziare al più presto la concertazione, il perfezionamento, dove tutti trovano maggior appagamento.

Stessa importanza ha la qualità della sua voce: un buon esempio cantato serve più di tante spiegazioni, perciò dovrà curare timbro, respirazione, emissione, pronuncia e senso musicale. Solitamente in Italia il direttore di coro è direttore di quel coro, col quale nasce, cresce e vive. Le nostre realtà sono quasi del tutto non professionali, composte da appassionati privi di specifiche competenze musicali, non autonomi nella lettura e nella tecnica vocale. Va detto, tuttavia, che un numero sempre maggiore di cori, pur rimanendo amatoriali, offre produzioni di alto livello, anteponendo il far musica allo stare assieme fine a se stesso. Sono strutture elastiche in continua evoluzione dove, all’organico fisso, si uniscono occasionalmente cantori esterni, solisti, strumentisti, direttori ospiti e vocalisti, con percorsi monotematici e composizioni su commissione: ciò dipende prima di tutto dal livello culturale e dall’apertura mentale del maestro. Esiste anche una nuova figura di cantore freelance, dotato di lettura autonoma, di una discreta educazione vocale e conoscenza del repertorio, che partecipa alla vita di più cori, in progetti concertistici pianificati con poche prove mirate e concerto. Ciò sta dividendo il mondo corale italiano: alcuni direttori vedono di buon occhio che uno o più cantori partecipino ad altre esperienze (vedi cori a progetto): cantori che portano aria nuova, ritmi di prova più serrati. Altri direttori non approvano che un componente possa con facilità “andare e venire”. Certo, è una scelta difficile, che può creare tensioni, che obbliga a rivedere criteri e regole. Quando il cantore dovrà rispondere a due impegni concertistici concomitanti, a quale aderirà? Davanti ai cantori, il direttore compositore/musicologo tenderà all’approccio analitico, intellettuale (non amato dal corista se diventa esercizio gratuito di dialettica). L’ex corista – che diventa poi maestro – preferirà non parlare e farà ripetere il passaggio o l’intero brano senza una precisa pianificazione. La sua esperienza lo porta ad individuare il particolare, ma difficilmente riesce a cogliere il brano nella sua totalità. Sono già due diverse tipologie di approccio: chi inventa e chi invece ricopia in bella il lavoro di un altro. A quale categoria apparteniamo? Un’altra riflessione per il cantore, che certifica con chiarezza la sua passione e le sue priorità: ci ritroviamo per cantare, o cantiamo per ritrovarci? Ed una riflessione finale: un presentatore che non rispetta dei tempi scenici può essere più devastante di un coro che cala, del poeta dialettale e degli scambi di doni a fine rassegna, con i sorrisi forzati e le strette di mano all’assessore …il sindaco manda le sue scuse! Liturgie ingombranti che stancano il pubblico; perché non pensarci in separata sede, durante il rinfresco? Il presentatore deve creare sintonia tra coro e pubblico, senza ostacolarla con troppe parole. Un coro racconta cantando, sempre, anche quando canta in lingua; spiegare l’inspiegabile è tempo perso. Più pericolosi ancora sono i direttori/presentatori. C’è poi il direttore/cantautore che usa il coro come una grande chitarra, il direttore/armonizzatore che elabora per la millesima volta “Stelutis e Kumbayà”, inventando armonie troppo lontane.
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